Nonostante la crisi si faccia sentire soprattutto in casa nostra, nell’anno 2013 si è registrato un incredibile incremento (+ 38%) per quanto riguarda l’esportazione di prodotti Made in Italy cosiddetti agroalimentari. Un record storico che ha fatturato ben 33.4 miliardi di Euro secondo i dati Istat analizzati dalla Coldiretti. Mentre l’esportazione vola ad altissimi livelli, si sta diffondendo la preoccupazione per il Made in Italy contraffatto attraverso quel fenomeno denominato “agropirateria”: con questo termine si sottolinea l’uso improprio di parole, colori, località, immagini, denominazioni e anche ricette che si riferiscono all’Italia, ma che di italiano non hanno davvero nulla, a cominciare dal nome.
Il valore attuale dell’agropirateria si aggira intorno ai 60 miliardi di Euro e sempre secondo i dati raccolti, 2 prodotti su 3 sarebbero assolutamente falsi. Il Parmigiano Reggiano, ad esempio, tra le eccellenze del Made in Italy, viene prodotto con il nome di Parmesan tra USA e Canada, mentre Parmesao è quello prodotto in Sud America (solamente nel 2013 sono stati prodotti negli USA ben 200 miliardi di Kg di formaggi e mozzarelle di denominazione italiana contraffatti); nelle tavole d’oltreoceano vengono serviti anche il Chianti californiano e pomodori San Marzano che non hanno nulla a che vedere con quelli DOP italiani.
Ad essere taroccati sono anche marchi storici come la mortadella e il prosciutto San Daniele prodotti in Canada, che non si avvicinano nemmeno ai salumi dal sapore più dolce prodotti nel Bel Paese.
Quella della pirateria agroalimentare, è una concorrenza sleale per il Made in Italy: chi vende prodotti pseudo-italiani inganna i consumatori convinti di portare nelle proprie tavole pane e companatico italiano. In questo senso il falso Made in Italy - soprattutto a livello di mercato - rischia di togliere spazio alla produzione invece autentica, genuina, banalizzando le specialità nostrane che sono il frutto di una secolare, ma soprattutto vera storia gastronomica.