20 Settembre 2018

Export: agroalimentare Made in Italy cresce in Cina ma diminuisce in Canada

L'export agroalimentare Made in Italy in Cina quadruplica (+376%) in valore negli ultimi dieci anni grazie alla progressiva apertura del gigante asiatico a stili di vita occidentali. E’ quanto afferma la Coldiretti nel commentare positivamente la visita del vicepremier Lugi Di Maio in Cina con l’obiettivo di rimuovere le barriere non tariffarie che impediscono di esportare liberamente.  Se infatti è stato rimosso nel 2016 il bando sulle carni suine italiane e nel 2018 le frontiere si sono aperte in Cina per l’erba medica italiana, al momento per quanto riguarda la frutta fresca – continua la Coldiretti – l’Italia può esportare in Cina solo kiwi e agrumi mentre sono ancora bloccate le mele e le pere oggetto di uno specifico negoziato. Un ostacolo che occorre superare per proseguire nel percorso di riequilibrio dei rapporti commerciali nell'agroalimentare dove le importazioni dalla Cina hanno superato del 29% il valore delle esportazioni che nel 2017 erano state pari a 448 milioni di euro, anche per effetto delle barriere commerciali.

E se nel gigante asiatico l’export agroalimentare Made in Italy cresce, in Canada diminuiscono del 3% delle esportazioni di vino, il prodotto agroalimentare italiano più venduto nel Paese nordamericano dove rappresenta quasi il 40% del valore totale dell’export.

Nel primo semestre del 2018, dopa la firma del CETA è calato del 3% l' export di bottiglie di vino Made in Italy  in Canada, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Si tratta di una brusca inversione di tendenza, sia in quantità che in valore, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno quando le bottiglie esportate erano aumentate di ben il 14%

L’intesa raggiunta con il Canada, sebbene abbia mantenuto l’accordo siglato nel 2003, non ha previsto – precisa la Coldiretti – l’aggiornamento dell’elenco con le denominazioni nate successivamente. E pertanto non trovano al momento tutela importanti vini quali l’Amarone, il Recioto e il Ripasso della Valpolicella, il Friularo di Bagnoli, il Cannellino di Frascati, il Fiori d’arancio dei Colli Euganei, il Buttafuoco e il Sangue di Giuda dell’Oltrepo’ Pavese, la Falanghina del Sannio, il Gutturnio e l’Ortrugo dei Colli Piacentini, la Tintillia del Molise, il Grechetto di Todi, il Vin santo di Carmignano, le Doc Venezia, Roma, Valtenesi, Terredeiforti, Valdarno di Sopra, Terre di Cosenza, Tullum, Spoleto, Tavoliere delle Puglie, Terre d’Otranto.

La mancata protezione delle denominazioni di vino italiane nei diversi Paesi non solo rischia di favorire l’usurpazione da parte dei produttori locali ma – conclude la Coldiretti – favorisce anche l’arrivo su quei mercati di prodotti di imitazione realizzati altrove.