Continua la lotta ai prodotti falsi e adulterati a favore del vero Made in Italy: secondo gli ultimi provvedimenti, infatti, non sarà più possibile vendere prosciutti di montagna sia in Italia che in Europa, se i maiali da cui sono ottenuti, non hanno trascorso parte della loro vita ad alta quota, ponendo fine ad un inganno molto diffuso sul mercato nazionale. Coldiretti conferma in questo modo gli effetti della nuova regolamentazione comunitaria sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari che tra l’altro completa il regolamento (UE) n. 1151/2012, con l’obiettivo di evitare che i consumatori siano indotti in errore e quindi chiarendo le condizioni d’uso del termine prodotto di montagna per i prodotti di origine animale.
Si tratta di una decisione opportuna, volta ad evitare il rischio che tale denominazione venga usata a sproposito, come purtroppo spesso avviene in Italia a danno sia dei consumatori che degli allevatori. Nel nostro Paese si calcola che due prosciutti su tre, arrivano da allevamenti tutt’altro che nostrani: Olanda, Danimarca, Francia, Germania e Spagna sono le provenienze diverse dall’Italia, senza che queste vengano evidenziate chiaramente in etichetta; sul mercato, dunque, è facile acquistare prosciutti contrassegnati dal tricolore, con nomi accattivanti come prosciutto nostrano o di montagna, ma si tratta di prodotti che in vero non hanno nulla a che vedere con la realtà produttiva del Bel Paese.
Con il nuovo regolamento si afferma che questa indicazione facoltativa di qualità può essere applicata ai prodotti forniti da animali purché allevati nelle zone di montagna e trasformati in tali zone. In deroga a tale principio gli animali devono essere stati allevati per un periodo che corrisponde ad almeno due terzi del loro ciclo di vita nelle zone di montagna (se i prodotti sono trasformati in tali zone) o almeno un quarto della loro vita in pascoli di transumanza nelle zone di montagna. Misure particolari sono state adottate anche per i mangimi degli animali: quelli che non possono essere prodotti nelle zone di montagna non devono superare il 50% della dieta annuale per gli animali, espressa in percentuale di materia secca, il 40% nel caso di ruminanti come mucche e il 75% per i maiali.
Per il miele, il regolamento prevede che per usufruire dell’indicazione facoltativa di qualità il nettare e il polline deve essere raccolto nelle zone di montagna, mentre lo zucchero di alimentazione delle api non deve provenire necessariamente dalle stesse zone. Stesso principio per i prodotti di origine vegetale: le piante devono essere coltivate nelle zone di montagna, mentre i prodotti non compresi nell’allegato I del Trattato, usati come ingredienti, così come le erbe, le spezie e lo zucchero, possono provenire fuori dalle zone di produzione a condizione che non rappresentino più del 50% del peso totale degli ingredienti.
In deroga al Reg. (UE) 1151/2012 solo alcune operazioni di trasformazione possono avvenire al di fuori delle suddette zone, ma ad una distanza non superiore ai 30Km dalle zone di montagna e gli Stati membri possono ridurre o annullare tale distanza. La deroga riguarda le operazioni di trasformazione per la produzione di latte e dei prodotti lattiero caseari in impianti in funzione il 3/1/2013, la macellazione di animali e il sezionamento e disossamento delle carcasse e la spremitura dell’olio di oliva.