Oltre 1000 stalle da latte chiuse, di cui il 60% in montagna e quasi 4000 posti di lavoro andati in fumo per effetto della perdita nei bilanci di circa 550 milioni di euro, perché il latte agli allevatori viene pagato al di sotto dei costi di produzione, con una riduzione dei compensi fino al 30% rispetto allo scorso anno, su valori inferiori a quelli di 20 anni.
E’ quanto emerge dal bilancio dell’allevamento da latte in Italia che tradizionalmente in campagna si chiude l’11 novembre, giorno di San Martino. Il prezzo del latte fresco nel 2015, si moltiplica di ben 4 volte dalla stalla alla tavola e, a fronte di una produzione nazionale di circa 110 milioni di quintali di latte, sono 85 milioni di quintali le importazioni di latte equivalente dall’estero, circa il 40%, e c’è il rischio concreto che quello straniero possa a breve per la prima volta superare quello Made in Italy.
La situazione drammatica del settore, ha provocato la storica mobilitazione nel mese di novembre che ha già coinvolto circa 20000 allevatori che insieme alle principali associazioni dei consumatori (Adiconsum, Federconsumatori, Adusbef, Codacons, Movimento consumatori) hanno intercettato centinaia di camion, tir e cisterne, presidiato decine di iper e supermercati in tutte le regioni, distribuito almeno 300.000 volantini ai consumatori per spiegare i motivi della protesta. Gli allevatori Coldiretti chiedono che il compenso riconosciuto, sia almeno commisurato ai costi di produzione che variano dai 38 ai 41 centesimi al litro secondo l’analisi ufficiale effettuata dall’Ismea in attuazione della legge 91 del luglio 2015.
Inoltre l’assenza dell’indicazione chiara dell’origine del latte a lunga conservazione, ma anche di quello impiegato in yogurt, latticini e formaggi, non consente di conoscere un elemento di scelta determinante per le caratteristiche qualitative, ma impedisce anche ai consumatori di sostenere le realtà produttive nazionale e con esse il lavoro e l’economia del vero Made in Italy. In un momento difficile per l’economia è necessario portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti, ma anche con l’indicazione delle loro caratteristiche specifiche a partire dai sottoprodotti. Non è un caso che l’89 % dei consumatori ritiene che la mancanza di etichettatura di origine possa essere ingannevole per i prodotti lattiero-caseari, secondo la consultazione pubblica on line sull'etichettatura dei prodotti agroalimentari, condotta dal Ministero delle Politiche Agricole che ha coinvolto 26.547 partecipanti sul sito del Mipaaf dal novembre 2014 a marzo 2015.