Un quinto del territorio nazionale è a rischio desertificazione a causa dei cambiamenti climatici con prolungati periodi di siccità, ma anche del progressivo consumo di suolo e della mancata valorizzazione dell’attività agricola nelle aree più difficili. È quanto afferma la Coldiretti in occasione della giornata mondiale per la lotta alla desertificazione e alla siccità istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Secondo il Centro Euromediterraneo per i Cambiamenti Climatici “entro fine secolo in Italia la temperatura potrà aumentare tra 3 e i 6 gradi” con un’estremizzazione del nostro clima accompagnata da precipitazioni violente alternate a periodi di aridità. Una evoluzione che si è manifestata in tutta la sua drammaticità già quest’anno con il primo quadrimestre dell’anno segnato da una grave siccità con circa 1/4 di pioggia in meno al quale ha fatto seguito un mese di maggio straordinariamente piovoso con grandine e temporali che hanno provocato pesanti danni alle coltivazioni.
La siccità è diventata l’evento avverso più rilevante per l’agricoltura con i fenomeni estremi che hanno provocato in Italia danni alla produzione agricola nazionale, alle strutture e alle infrastrutture per un totale pari a più di 14 miliardi di euro nel corso di un decennio. Su un territorio meno ricco e più fragile per l’abbandono forzato dell’attività agricola in molte aree interne si abbattono gli effetti dei cambiamenti climatici, favoriti anche dal fatto che l’ultima generazioni in 25 anni è responsabile in Italia della scomparsa di oltre ¼ della terra coltivata (-28%) per colpa della cementificazione e dell’abbandono provocati da un modello di sviluppo sbagliato che ha ridotto la superficie agricola utilizzabile in Italia ad appena 12,8 milioni di ettari.
“In un Paese comunque piovoso come l’Italia che per carenze infrastrutturali trattiene solo l’11% dell’acqua, occorre un cambio di passo nell’attività di prevenzione”, dichiara il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “bisogna evitare di dover costantemente rincorrere l’emergenza con interventi strutturali. Il primo passo è la realizzazione di piccole opere di contrasto al rischio idrogeologico, dalla sistemazione e pulizia straordinaria degli argini dei fiumi ai progetti di ingegneria naturalistica, ma allo stesso tempo – continua Prandini – “serve un piano infrastrutturale per la creazione di invasi che raccolgano tutta l’acqua piovana che va perduta e la distribuiscano quando ce n’è poca, con la regia dei Consorzi di bonifica e l’affidamento ai coltivatori diretti. Non è pensabile che la legge sul consumo di suolo approvata da un ramo del Parlamento nella scorsa legislatura sia finita su un binario morto in attesa della discussione in Senato. Dobbiamo togliere dalla palude questa norma importante per il futuro dell’Italia e approvarla prima possibile”, precisa Prandini.
L’agricoltura è l’attività economica che più di tutte le altre vive quotidianamente le conseguenze dei cambiamenti climatici, ma è anche il settore più impegnato per contrastarli, si tratta di una nuova sfida per le imprese agricole che devono interpretare le novità segnalate dalla meteorologia e gli effetti sui cicli delle colture, sulla gestione delle acque e sulla sicurezza del territorio. Servono interventi di manutenzione, risparmio, recupero e riciclaggio delle acque, campagne di informazione ed educazione sull’uso corretto dell’acqua, un impegno per la diffusione di sistemi di irrigazione a basso consumo, ma anche ricerca e innovazione per lo sviluppo di coltivazioni a basso fabbisogno idrico.