Agromafie, un volume d'affari che solo nell’ultimo anno è salito del 30%, raggiungendo cifre da capogiro che sfiorano i 22 miliardi di euro. Questi i principali dati emersi dal V Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare. Un fenomeno radicalizzato e strutturato quello delle agromafie che, partendo dallo sfruttamento nei capi è arrivato a coprire tutte le principali attività della filiera; dei veri e propri raid che alle più tradizionali attività criminose legate a racket, usura, danneggiamento, pascolo abusivo, estorsione nelle campagne, si sono estesi fino a riguardare le tipiche attività da “colletti bianchi” condizionano il mercato stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, il controllo di intere catene di supermercati, l’esportazione del nostro vero o falso Made in Italy, la creazione all’estero di centrali di produzione dell’Italian sounding nonché reti ex novo di smercio al minuto nelle città, facendo scomparire i tradizionali fruttivendoli e i fiorai, per sostituirli con egiziani, indiani e pakistani che controllano ormai gran parte delle rivendite attive sul territorio. Tra tutti i settori maggiormente infiltrati dalle agromafie, quello della ristorazione è forse il comparto più tradizionale e tipico del fenomeno. In alcuni casi sono le stesse mafie a possedere addirittura franchising e dunque catene di ristoranti in varie città d’Italia, tanto da ritenere che il business dei profitti criminali reinvestiti nella ristorazione coinvolgerebbe oltre 5.000 locali, con una più capillare presenza a Roma, Milano e nelle grandi città.
Di questo hanno parlato Maria Letizia Gardoni, delegata nazionale Coldiretti Giovani Impresa, e Gian Carlo Caselli, Presidente del Comitato scientifico della fondazione Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, ospiti della trasmissione Mi manda Rai 3. Le agromafie rappresentano un fenomeno che mette a serio rischio la salute dei consumatori in quanto la presenza della criminalità, spesso associata a minori costi degli alimenti, fa sì che vengano a mancare i necessari adempimenti, quali controlli e metodologie produttive in linea con i più sicuri disciplinari di produzione.
“Un prodotto alimentare su cinque, ha dichiarato Maria Letizia Gardoni, proviene da attività di malavita organizzata. Inoltre si stima che siano coltivati o allevati all’estero oltre il 30% dei prodotti agroalimentari consumati in Italia, con un deciso aumento negli ultimi decenni delle importazioni da paesi extracomunitari, dove non valgono gli stessi diritti sociali dell’Unione Europea. Si tratta di prodotti largamente utilizzati nella cucina italiana come riso, conserve di pomodoro, olio d’oliva, ortofrutta fresca e trasformata, spesso il frutto di un caporalato invisibile che passa inosservato solo perché avviene in Paesi lontani”.
Interrogato su come il consumatore possa essere tutelato, Gian Carlo Caselli si è detto dell’avviso che ciò possa avvenire solo attraverso un sistema di etichettatura e d’informazione. “Dovrebbe esistere un obbligo di legge per tutti i prodotti che imponga un sistema di etichettatura narrante, in grado di fornire al consumatore le informazioni necessarie in termini di provenienza, percorso, contenuto ed ingredienti, non limitandosi solo alla data di scadenza. Positivo di certo è il fatto che alcune aziende abbiano compreso la sensibilità che sta nascendo nei consumatori circa queste tematiche e, di fatto, si siano adeguate ancora prima che la legge glielo abbia imposto, tuttavia ciò non toglie che sia necessario un intervento del legislatore”, ha concluso Caselli.