Agricoltura e granaio d'Italia a rischio: dal frumento al pane, i prezzi aumentano del 1450 % con il grano che è oggi pagato come trent’anni fa su livelli al di sotto dei costi di produzione attuali. E’ quanto emerge da una analisi Coldiretti presentata in occasione della mobilitazione degli agricoltori al Porto di Bari da dove sbarca grano straniero destinato a produrre pane e pasta, senza alcuna indicazione in etichetta sulla reale origine.
L'Italia nel 2015 ha importato circa 4,8 milioni di tonnellate di frumento tenero, che coprono circa la metà del fabbisogno essenzialmente per la produzione di pane e biscotti, mentre sono 2,3 milioni di tonnellate di grano duro che arrivano dall’estero, le quali rappresentano circa il 40% del fabbisogno per la pasta. Va segnalato che nel 2015, sono più che quadruplicati gli arrivi di grano dall’Ucraina, per un totale di oltre 600 milioni di Kg e praticamente raddoppiati quelli dalla Turchia per un totale di circa 50 milioni di Kg.
Si tratta del risultato delle scelte poco lungimiranti fatte nel tempo da chi ha preferito fare acquisti speculativi sui mercati esteri di grano da spacciare come pasta o pane Made in Italy, per la mancanza dell'obbligo di indicare in etichetta la reale origine del frumento impiegato. Un comportamento reso possibile dai ritardi nella legislazione comunitaria e nazionale che non obbliga ad indicare la provenienza del grano utilizzato in etichetta.
E' fatto con grano straniero 1 pacco di pasta su 3 e anche circa la metà del pane in vendita in Italia, ma i consumatori non lo possono sapere perché non è obbligatorio indicare la provenienza in etichetta.
I prezzi del grano duro in Italia nel 2016 sono crollati del 31% rispetto allo scorso anno, su valori al di sotto dei costi di produzione, che mettono a rischio il futuro di una parte molto importante per la nostra agricoltura, il cosiddetto Granaio d'Italia. In pericolo non c’è solo la produzione di grano ed il futuro di oltre 300.000 aziende agricole che lo coltivano, ma anche un territorio di circa 2 milioni di ettari a rischio desertificazione e, gli alti livelli qualitativi per i consumatori garantiti dalla produzione Made in Italy.
Nell’area commerciale del Porto di Bari sono attraccate 4 navi:
A presidiare in queste ore le attività di sbarco, centinaia di agricoltori Coldiretti che chiedono trasparenza sulla provenienza e sulla qualità del prodotto. In questo momento il grano “sbarcato” è oggetto di controllo da parte del Corpo Forestale dello Stato, che sta effettuando una prima analisi delle micotossine attraverso un Kit innovativo all’interno della postazione mobile, allestita per l’occasione. In 7 mesi (periodo luglio 2015 –febbraio 2016) è stato scaricato al Porto di Bari circa 1 milione di tonnellate di grano, arrivato da Canada, Turchia, Argentina, Singapore, Hong Kong, Marocco, Olanda, Antigua, Sierra Leone, Cipro e spesso triangolato da porti inglesi, francesi, da Malta e da Gibilterra.
“Sono tre le storture fondamentali che condizionano fortemente la quotazione del grano duro pugliese – denuncia Serena Minunni, presidente di Coldiretti Giovani Impresa Puglia - quali l’assoluta mancanza di norme che regolano il mercato mondiale, come l’etichettatura di origine obbligatoria e la tracciabilità delle produzioni, le importazioni speculative e il divario dei prezzi corrisposti alla produzione rispetto al consumo. Ogni anno riprende la solita routine speculativa dove il grano duro subisce contrazioni di prezzo talvolta inspiegabili visto che il mercato comunitario quota in maniera superiore a parità di caratteristiche. Noi siamo sempre ai limiti del costo di produzione. Al Direttore dell’Agenzia delle Dogane chiediamo controlli capillari e più frequenti per garantire sicurezza e igiene degli alimenti”.
“Quello che ulteriormente sconcerta è il fatto che al consumo non siano state mai apportate riduzioni di prezzi di pane e pasta – conclude la rappresentante dei giovani agricoltori pugliesi - che pure potevano essere fisiologiche nel periodo nel quale veniva ridotto il costo della materia prima. Non solo, nel corso del tempo la forbice si è ulteriormente allargata tra prezzi corrisposti alla produzione e quelli fissati al consumo, tant’è che oggi il differenziale tra grano duro e pasta è di circa 400%, grano tenero e pane intorno al 1.000%”.