Con un aumento record delle esportazioni del 44% nel 2021 il tartufo Made in Italy festeggia l’iscrizione come patrimonio culturale immateriale dell’umanità tutelato dall’Unesco. E’ quanto emerge dall’analisi della Coldiretti sui dati Istat relativi ai primi nove mesi dell’anno in occasione del riconoscimento alla “Cerca e cavatura del tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali”.
L’ingresso del tartufo tra i patrimoni dell’umanità tutela un cultura storica del territorio segnata da uno speciale rapporto con la natura in un rito ricco di aspetti umani e culturali. Una tradizione determinante per molte aree rurali montane e svantaggiate anche dal punto di vista turistico e gastronomico. Una difesa anche contro i recenti tentativi di copiare all’estero in laboratorio il pregiato Tartufo Bianco per sostituire quello italiano, che al contrario cresce spontaneamente in natura e viene raccolto con tecniche e conoscenze tramandate da secoli.
L’arte della ricerca del tartufo coinvolge in Italia una rete nazionale composta da circa 150mila cercatori, cavatori e appassionati insieme al più fedele amico dell’uomo. Una vasta comunità, distribuita nei diversi territori regionali italiani, che coinvolge in prima battura la coppia cavatore-cane in un rapporto armonico tra il cavatore e la natura che è alla base della trasmissione di conoscenze e tecniche legate alla cerca e cavatura individuate come una pratica sostenibile.
Una risorsa anche economiche ed occupazionale per le aree svantaggiate, dal Piemonte alle Marche, dalla Toscana all’Umbria, dall’Abruzzo al Molise, ma anche nel Lazio e in Calabria sono numerosi i territori battuti dai ricercatori. Il prezzo medio del tartufo bianco ha raggiunto quest’anno i 480 euro all’etto secondo l’analisi Coldiretti al borsino del tartufo di Alba, punto di riferimento a livello nazionale per il tubero più prezioso d’Italia, sui massimi toccati negli ultimi anni con i 350 euro nel 2013, i 500 euro nel 2012 e i 450 euro all’etto del 2017 per pezzature medie dai 15 ai 20 grammi.
La ricerca dei tartufi praticata già dai Sumeri svolge una funzione economica a sostegno delle aree interne boschive dove rappresenta una importante integrazione di reddito per le comunità locali, con effetti positivi sugli afflussi turistici come dimostrano le numerose occasioni di festeggiamento organizzate in suo onore. Il tartufo è un fungo che vive sotto terra ed è costituito in alta percentuale da acqua e da sali minerali assorbiti dal terreno tramite le radici dell’albero con cui vive in simbiosi.
Nascendo e sviluppandosi vicino alle radici di alberi come il pino, il leccio, la sughera e la quercia il tartufo, deve le sue caratteristiche (colorazione, sapore e profumo) proprio dal tipo di albero presso il quale si è sviluppato. La forma, invece dipende dal tipo di terreno: se soffice il tartufo si presenterà più liscio, se compatto, diventerà nodoso e bitorzoluto per la difficoltà di farsi spazio.
L’arte italiana della ricerca del tartufo entra nella lista Unesco del patrimonio culturale immateriale dell’umanità al fianco di molti tesori italiani già iscritti dall’Opera dei pupi (iscritta nel 2008) al Canto a tenore (2008), dalla Dieta mediterranea (2010) all’Arte del violino a Cremona (2012), dalle macchine a spalla per la processione (2013) alla vite ad alberello di Pantelleria (2014), dall’arte dei pizzaiuoli napoletani (2017) alla la Falconeria fino all’“Arte dei muretti a secco” ma non mancano neppure luoghi simbolo tutelati dall’Unesco come le Colline del Prosecco e le faggete dell’Aspromonte e del Pollino.