5 Dicembre 2015

Agromafie, dai campi ai supermercati il business vale 15,4 miliardi

I sequestri di supermercati, terreni, aziende agricole e d'allevamento sono solo la punta di un iceberg del business che la criminalità sviluppa nell’agroalimentare nazionale, dove gli interessi si estendono dal campo alla tavola per un volume di affari stimato in 15,4 miliardi.
E’ quanto afferma la Coldiretti nel commentare il sequestro di beni a quattro fiancheggiatori del boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro, in gran parte nell’agricoltura e nell’alimentare. Le mafie investono i loro ricchi proventi illeciti in larga parte in attività agricole, nel settore della trasformazione alimentare, commerciale e nella grande distribuzione.
Secondo l’analisi dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare promosso dalla Coldiretti, con il comitato scientifico presieduto da Gian Carlo Caselli, le agromafie stanno approfittando della crisi per penetrare anche nell’imprenditoria legale, poiché è peculiarità del moderno crimine organizzato estendere, con approccio imprenditoriale, il proprio controllo dell’economia invadendo i settori che si dimostrano strategici ed emergenti, come è quello agroalimentare.
Si tratta di aree prioritarie di investimento della malavita che ne comprende la strategicità in tempo di crisi, perché consente di infiltrarsi in modo capillare nella società civile e condizionare la via quotidiana della persone in termini economici e salutistici.

Sul tema delle agromafie, recentemente, è intervenuta anche  Maria Letizia Gardoni, Delegata Nazionale dei Giovani di Coldiretti, affermando che: “Fortunatamente, l’Italia può vantare un sistema di controllo che è primo al mondo in termini di efficacia per quanto riguarda la lotta alle attività agromafiose;  queste, infatti, rappresentano un fattore di pericolo per tutti quei giovani, che credono che il futuro dell’imprenditoria italiana sia nell’agroalimentare, un settore nel quale investono la propria vita, un settore strategico per il rilancio economico del nostro Paese.

Mettendo le mani sul comparto alimentare, le mafie hanno infatti la possibilità di affermare il proprio controllo sul territorio, dalla intermediazione nel commercio della frutta alla produzione di olio di oliva.
Potendo contare costantemente su una larghissima e immediata disponibilità di capitale e sulla possibilità di condizionare parte degli organi preposti alle autorizzazioni e ai controlli, si muovono con maggiore facilità rispetto all’imprenditoria legale.  Per raggiungere l’obiettivo, i clan ricorrono a tutte le tipologie di reato tradizionali: usura, racket estorsivo e abusivismo edilizio, ma anche a furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato, macellazioni clandestine o danneggiamento delle colture con il taglio di intere piantagioni.

Con i classici strumenti dell’estorsione e dell’intimidazione, impongono la vendita di determinate marche e determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della crisi economica, arrivano a rilevare direttamente. Non solo si appropriano di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano (distruggendo la concorrenza ed il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta), ma compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani ed il valore del marchio Made in Italy.