Cascina Motta, via Guazzora, 17 – 15045 Sale (AL)
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È del piemontese Massimo Prandi il primo birrificio italiano a produrre e trasformare in azienda tutte le materie prime per le proprie birre: il primo sulla scena nazionale a realizzare interamente in azienda tutti i processi della produzione della birra, dal campo alla bottiglia. Cascina Motta, storica impresa con sede a Sale, provincia di Alessandria, ha infatti inaugurato la propria sala cotta, con la brassatura della prima birra, la Cavagna. Un ulteriore tassello a completamento di un progetto innovativo nato dieci anni fa con la conversione dell’intera superficie aziendale di dodici ettari al regime di agricoltura biologica per la coltivazione di orzo distico ed altri cereali da birra e luppolo. Infatti, la peculiarità dell’azienda è proprio quella di coltivare tutte le materie prime necessarie alla realizzazione delle proprie birre, completando anche in sede il processo della maltazione e della prima lavorazione dei coni.
Massimo Prandi è il giovane ispiratore e pioniere del progetto, nonché importante cultore del settore birrario, docente e divulgatore, sottolinea come la scelta della realizzazione completamente aziendale sia stata onerosa non solo in termini di investimenti, ma anche di osticità tecnica. “È soprattutto la maltazione a creare difficoltà, ma anche a spingerci ad una continua sperimentazione. Con la nostra malteria da sei quintali riusciamo comunque ad trasformare direttamente i nostri cereali in una gamma piuttosto variegata di malti. La scelta di voler utilizzare solo ingredienti derivanti dai nostri campi, limitrofi al maltificio e birrificio, se da una parte risulta limitante in termini di stili di birra producibili, è un punto di forza insostituibile e caratterizzante della nostra mission. La nostra birra non la consideriamo, infatti, solo birra artigianale e riteniamo limitante pure il concetto di birra agricola: per questo abbiamo coniato il marchio birra contadina, che vuole proprio rappresentare il legame diretto, unico ed insostituibile che unisce le nostre produzioni al territorio ed al microclima locali, ed in termini assoluti, ai nostri campi ed al nostro lavoro quotidiano”.
Le difficoltà di conversione alla gestione in agricoltura biologica e la necessità di rivedere i sistemi colturali per le specifiche esigenze tecnologiche dei cereali ad uso maltario hanno richiesto numerose prove di coltivazione, durate sostanzialmente otto anni. Tanti sforzi hanno reso la Cascina Motta in grado di coltivare nel migliore dei modi e nel pieno rispetto dell’ambiente, non solo l’orzo distico, ma anche varietà di frumento, segale, avena e riso che trovano e troveranno in futuro impiego come ingredienti delle nostre birre. Allo stesso modo, anche avviare la coltivazione del luppolo su una superficie di circa mezzo ettaro è stata una impresa non di poco conto, ma le piante, ormai al terzo anno di produzione stano fornendo validi risultati, soprattutto per alcune varietà.
L’emozione nel raccontare le sensazioni che si provano a realizzare la birra in una struttura ricavata dalla attenta ristrutturazione di una antica stalla, annessa alla maestosa villa padronale napoleonica, testimoniano un radicamento secolare di Cascina Motta nel contesto rurale alessandrino.
Produrre birra contadina non è solo il marchio di fabbrica di cascina Motta, ma una scelta di vita, una consapevolezza etica, una filosofia produttiva. Un’opportunità, da vivere al costo della consapevolezza di limitazioni. In primo luogo la birra contadina a filiera interamente aziendale non può prescindere dalla variabilità della produzione. Ogni campo di cereale, ogni annata agraria, ogni ciclo di maltazione e ciascuna cotta presentano delle peculiarità che portano ad una costante variabilità del prodotto finito. Variabilità non tipica di molte produzioni di birre artigianali ed agricole, che si avvantaggiano rispettivamente dell’uso in toto o in grande misura, fino al 49%, di materie prime di origine industriale, come i malti, o luppoli provenienti da diversi parti del globo, quindi acquistabili sempre ad immagine e somiglianza di quanto richiesto in ricetta.
Produrre birra in un birrificio contadino significa avere la consapevolezza di non poter brassare tutte le birre che si vorrebbe, o che i consumatori desiderano: il frutto dei nostri campi è l’unica risorsa da cui partire, con uno spettro di potenzialità ampio, ma non enorme, che trova una vasta gamma di possibilità di trasformazioni, pur sempre con le limitazioni tecnologiche che un impianto artigianale impone. Una scelta che fa sì che il primo “operaio” delle produzioni sia la natura. Intanto nei tini sta già fermentando la Cavagna, un’ambrata afferente allo stile Vienna Lager, a cui a breve si affiancheranno le nuove cotte di Sloira, una pils classica, molto ricca di aromi e sensazioni di cereale. Non resta che attendere qualche settimana per poter brindare con i primi boccali interamente realizzati con materie prime dell’annata 2018! “Una italianità finalmente oggettiva della birra, dettata non solo dal luogo di ultima trasformazione degli ingredienti, ma che abbiamo voluto estremizzare anche reperendo in Italia tutti gli impianti di cui siamo dotati, dai silos di stoccaggio dell’orzo, alla malteria, fino alla imbottigliatrice isobarica”, sono queste le parole di Massimo Prandi.