C’è un grande orto nel bel mezzo della città. C’è un antico carcere nel ventre vivo dell’abitato. E ci sono tre donne tenaci, Rossella, Rosa e Daniela, rispettivamente una preside, una direttrice del carcere e una educatrice. Tre donne che insegnano come dalle piccole cose e senza grandi finanziamenti è possibile compiere delle rivoluzioni. Quelle piccolissime o giganti che riguardano la vita degli ultimi o dei più fragili. I detenuti, appunto, e i giovani.
Per i detenuti c’è una occasione di libertà, di formazione e di lavoro. Qui riscoprono il valore della fatica e della dignità. Per i giovani invece c’è l’opportunità di toccare con mano e comprendere quanto sottile sia la soglia dell’errore e quanto semplice possa essere scivolare verso l’isolamento. Glielo insegnano i detenuti. Mentre impartiscono le pratiche della buona agricoltura, del rispetto dell’ambiente, e del lavoro di squadra.
Ma a guadagnarci non sono soltanto loro. Un istituto che sposa un modello innovativo di formazione scolastica, aperto alla società, sperimenta come strutturalmente può cambiare una scuola, individuando risorse impensabili sul territorio. Qui i detenuti hanno trasformato un normale complesso scolastico in un giardino verde e in una struttura accogliente. La struttura penitenziaria ha avuto la possibilità di realizzare una cooperativa agricola, i cui soci sono gli stessi detenuti, che lavorano ogni giorno alla costruzione del proprio domani.
Che siano originari di qui o che abbiano radici altrove, i detenuti vogliono restare a Campobasso e questo progetto ha dato loro questa opportunità. Scappare? «Se vuoi che i detenuti non fuggano - dice la direttrice del carcere - allora devi aprire le celle».