Nel 2015 hanno chiuso circa mille stalle, oltre il 60% delle quali si trovava in montagna, con effetti irreversibili sull’occupazione, sull’economia, sull’ambiente e sulla qualità dei prodotti. E’ quanto si afferma con lo scoppio della Guerra del Latte iniziata con l’assedio di migliaia di allevatori con trattori e mucche al centro di distribuzione dei prodotti Ospedaletto Lodigiano (Lodi) della multinazionale francese Lactalis, che detiene i grandi marchi nazionali Parmalat, Galbani, Invernizzi e Locatelli.
La conseguenza è che sono sopravvissute a fatica appena 35mila stalle che rischiano, però, di scomparire nei prossimi mesi perché gli allevatori non riescono a coprire neanche i costi per dare da mangiare agli animali. Sotto accusa il fatto di sottopagare il latte italiano al di sotto dei costi di produzione con le importazioni dall’estero che vengono spacciate come Made in Italy per la mancanza di norme trasparenti
sull’etichettatura. L’industria ha deciso unilateralmente di tagliare i compensi per il latte alla stalla di oltre il 20% in meno rispetto allo scorso anno, per gli allevamenti della Lombardia dove si produce quasi la metà del latte italiano ed è quindi un punto di riferimento nazionale. Il prezzo del latte riconosciuto oggi agli allevatori è inferiore a quello di venti anni fa e vengono proposti accordi-capestro che fanno riferimento all'indice medio nazionale della Germania, con una manovra speculativa del tutto ingiustificata e quindi inaccettabile perché la produzione italiana di latte si distingue per le elevate caratteristiche qualitative.
D’altra parte la stessa multinazionale si guarda bene dal praticare sul mercato italiano gli stessi prezzi di vendita al consumo per latte e formaggi della Germania. Dalle frontiere italiane passano ogni giorno 3,5 milioni di litri di latte sterile, ma anche concentrati, cagliate, semilavorati e polveri per essere imbustati o trasformati industrialmente e diventare magicamente mozzarelle, formaggi o latte italiani, all'insaputa dei consumatori. Nell’ultimo anno hanno addirittura superato il milione di quintali le cosiddette cagliate importate dall’estero, che ora rappresentano circa 10 milioni di quintali equivalenti di latte, pari al 10% dell’intera produzione italiana. Si tratta di prelavorati industriali che vengono soprattutto dall’Est Europa che consentono di produrre mozzarelle e formaggi di bassa qualità. Considerato che, a fronte di una produzione nazionale di circa 110 milioni di quintali di latte, sono circa 86 milioni di quintali le importazioni di latte equivalente dall’estero, c’è il rischio concreto che il latte straniero possa per la prima volta superare quello tricolore. Per ogni milione di quintali di latte importato in più scompaiono 17mila mucche e 1.200 occupati in agricoltura
“A rischio c’è un settore che rappresenta la voce più importante dell’agroalimentare italiano con un valore di 28 miliardi di euro con quasi 180 mila gli occupati nell’intera filiera” ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “in gioco c’è un patrimonio del Made in Italy alimentare che ha garantito all’Italia primati a livello internazionale, ma anche un ambiente ed un territorio unico che senza l’allevamento rischia l’abbandono ed il degrado.