1 Aprile 2019

Biologico, per la crescita servono interventi mirati

Il biologico italiano cresce, ma la filiera si è sviluppata in modo disarmonico e non è in grado di rispondere adeguatamente alla domanda del mercato interno come evidenza il tasso di crescita degli importatori che sono passati da 246 nel 2008 a 411 nel 2017 (+67.1%), per cui è necessaria una cabina di regia che orienti e metta a sistema interventi mirati a sostegno dell’agricoltura biologica e biodinamica rafforzando i punti deboli del settore, se si vuole raggiungere un obiettivo di adeguato incremento delle produzioni perché al momento di fatto il comparto è un gigante dai piedi d’argilla. È la fotografia dell’andamento del settore scattata dall’intervento della Coldiretti al congresso federale di Aiab tenutosi a Roma il 16 marzo sul tema “Cos’è biologico al 2020” nell’ambito del quale è stato fornito un quadro della situazione attuale e delle prospettive future del biologico italiano

Dai dati diffusi emerge che, nel decennio 2008-2017, le superfici interessate a biologico sono quasi raddoppiate passando da 1.0 a 1.9 milioni di ettari (+90%). Le superfici ad agricoltura biologica hanno fatto registrare forti incrementi nelle Regioni del sud (da 0.6 a 1,2 milioni di ettari: +100.0%) e del nord (da 159.000 a 290.000nettari registrando un +82.3%), mentre hanno evidenziato aumenti più contenuti, ma comunque significativi al centro (da 258.000 a 319.000 ettari) segnando un aumento del 23.6%. Tuttavia, nel 2017, le imprese agricole bio rappresentano solo il 4.5% del totale (nord 3.9%, centro 5.8% e sud 5.0%) registrando quasi un raddoppio rispetto al 2008, quando rappresentavano il 2.5% del totale.

Il fatturato nel 2018 del bio è pari a 5,6 miliardi di Euro di cui 2,06 miliardi è rappresentato dall’export il che segna un +205% rispetto al 2008. L’export bio registra, inoltre, un aumento del 534% rispetto al 2008. Le vendite di prodotti biologici segnano il 3% sul totale dei consumi e sono il 5% dell’export dell’agroalimentare italiano. Il 73 ,3% dei consumi si concentra su 4 tipologie di prodotti agricoli: frutta 24%, ortaggi 18.9%, derivati di cereali 16.7%, latte e derivati 13.7%. I principali canali della distribuzione sono la GDO (62.7%), i negozi specializzati (31.3%) e discount (6%). La distribuzione geografica dei consumi vede in testa il nord con il 65% ed a seguire il centro 24% e il sud l’11% (elaborazione Università La Sapienza su dati ISMEA e NOMISMA). Di fatto al nord si trasforma e consuma, al centro sud si produce, ma si trasforma poco, mentre i consumi sono molto contenuti.

L’incremento del numero di ettari investiti a biologico è, quindi, inconfutabile, ma i dati ufficiali attualmente disponibili hanno il grande limite di essere relativi solo alle superfici e non alle produzioni effettivamente ottenute per singolo ordinamento colturale e zootecnico per cui non è possibile, al momento, quantificare quanto sia il volume reale di produzione per coltura o comparto zootecnico. In sostanza, non si è in grado di stabilire in che percentuale l’agricoltura biologica italiana sia in grado di rispondere adeguatamente alla domanda di mercato italiana ed estera. In questo modo, risulta complesso poter pianificare degli interventi che consentano di riequilibrare il rapporto tra domanda ed offerta di prodotti biologici.

Dall’analisi economica del comparto emerge come su 1,9 milioni di ettari destinati a biologico che rappresentano il 15,4% dell’intera superfice agricola coltivata, l’82,1% è concentrato su quattro orientamenti colturali: il 48,2% solo su foraggere e pascoli, il 16% su frumento, il 12,4% su olivo il 5,5% su vite. Le ortive seguono con il 2.9% e le fruttifere con l’1,8% delle fruttifere. Se, parallelamente, si analizza il settore zootecnico si vede che l’incidenza dei capi allevati è modesta per cui foraggere e pascoli sono decisamente eccedenti rispetto al patrimonio zootecnico mentre l’ortofrutta che dovrebbe essere l’asse portante della filiera insieme alla zootecnia appaiono decisamente insufficienti.

Se si esamina l’incidenza delle singole colture biologiche rispetto al totale della produzione si evidenzia anche una situazione di estrema debolezza: rispetto al totale della produzione agricola nazionale i cereali bio incidono per il 9,8% le ortive rappresentano il 12,2%, i fruttiferi il 12,8%, i cereali, il 9.8%, l’olivo il 20.3% la frutta in guscio il 32.8%.

Coldiretti ha evidenziato come da 20 anni a questa parte il biologico sia cresciuto sotto la spinta degli aiuti dei Psr in assenza di una progettazione della filiera nazionale che si intendeva realizzare tanto è vero che alcune delle criticità che via via sono emerse, evidenziate anche da studi dell’allora Inea e poi della Rete rurale ad esempio in merito a come impiegare al meglio ed in modo sinergico le misure dei Psr non hanno avuto alcun riscontro risolutivo, continuando le Regioni a muoversi in ordine sparso, per cui continua a mancare una cabina di regia che, sulla base di una valutazione d’impatto con tanto di indicatori, possa verificare quanto è stato attuato delle azioni previste nei Piani nazionali di sviluppo dell’agricoltura biologica elaborati dal Mipaaft e come abbiano inciso le risorse previste dalle misure dei Psr a sostegno del settore, al fine di concentrare gli interventi su quanto resta ancora da fare per una crescita armoniosa e solida della filiera.

La questione, ad esempio, del logo nazionale di valorizzazione delle produzione biologiche italiane ha attraversato diverse legislature senza vedere mai la sua realizzazione che a questo punto si auspica possa verificarsi con l’approvazione del Ddl 998 “Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico”.

Ma altri interventi si rendono necessari per rafforzare la filiera del bio: garantire la disponibilità sul mercato di mezzi tecnici autorizzati (prodotti fitosanitari e fertilizzanti di origine naturale, sementi di varietà adatte al metodo di produzione), rafforzare i controlli nella direzione richiesta dall’ultima relazione della Corte dei Conti Ue, investire in strutture di commercializzazione e trasformazione dedicate, incentivare la vendita diretta, semplificare ulteriormente gli adempimenti burocratici a carico delle imprese agricole bio, finanziare la ricerca rispondendo davvero alle esigenze degli operatori della filiera a partire dagli agricoltori, implementare il Sinab in modo che possa fornire dati disaggregati sulla produzione quantitativa e non solo in termini di superfici dei singoli ordinamenti colturali e zootecnici delle imprese.

Tutto ciò secondo Coldiretti, rende ancora più pressante la necessità di un profondo ripensamento del modo in cui si sta gestendo a livello nazionale e regionale la politica di sostegno al biologico se si vuole che abbia un significativo impatto in termini migliorativi sull’ambiente perché il biologico importato è, di per sé, una contraddizione inaccettabile in termini di sostenibilità.