19 Settembre 2014

Falso Made in Italy: in Emilia Romagna costa 30 mila posti di lavoro

La contraffazione e la falsificazione dei prodotti alimentari tipici dell’Emilia Romagna costano alla nostra regione circa trentamila posti di lavoro, che si potrebbero creare con una seria azione di contrasto a livello nazionale ed internazionale.
E’ uno dei dati emersi alla mostra dei falsi prodotti Made in Italy realizzata da Coldiretti a Modena, presso l’auditorium della Fondazione Marco Biagi, nell’ambito dell’XI convegno della Società Italiana Marketing sul Food marketing – mercati, filiere, sostenibilità e strategie di marca, al quale è intervenuto il presidente nazionale di Coldiretti, Roberto Moncalvo.

Secondo Coldiretti, il fatturato del falso Made in Italy, in Emilia Romagna solo nell’agroalimentare ha superato gli 8 miliardi di euro (60 miliardi per l’agroalimentare a livello nazionale) e la lotta alla contraffazione e alla pirateria rappresentano un’area di intervento prioritaria per recuperare risorse economiche utili al Paese e generare occupazione. Per la qualità e la fama dei suoi prodotti, l’enogastronomia dell’Emilia Romagna è terra di saccheggio per i pirati del cibo, come ha evidenziato la mostra a Modena, dove spiccavano prodotti come:

  • Bolognese, ragu prodotto in Estonia
  • l’assurda Mortadela siciliana prodotta in Romania
  • il fantomatico Parmesan cheese crystal farms – aged 100% natural grated prodotto negli Stati Uniti
  • il fantasioso Parma salami Genova prodotto in Messico
  • il Grana Pampeano argentino
  • il tutto con contorno di Chapagetti (spaghetti?) provenienti dalla Corea
  • San Marzano – pomidori pelati cubetti made in Usa
  • l’improbabile polenta Palenta – Instant kukuruzna krupica prodotta in Croazia
  • l’Italiano pasta proveniente dal Cairo

Se nessun italiano si sognerebbe di comprare simili assurdità, non è così per i consumatori esteri che vengono attirati dall’immagine di italianità ad essi collegati, fornendo così alle aziende produttrici un vantaggio competitivo perché associano indebitamente ai propri prodotti l’immagine del Made in Italy apprezzata dai consumatori stranieri, nonostante il prodotto che essi acquistano non abbia alcun legame con il sistema produttivo italiano, facendo concorrenza sleale nei confronti dei produttori nazionali impegnati a garantire standard elevati di qualità.

Potenzialmente le esportazioni agroalimentari regionali potrebbero triplicare perché nel 2013 – rileva Coldiretti sulla base dei dati del rapporto agroalimentare di Regione e Unioncamere – l’Emilia Romagna ha esportato 5.471 milioni di euro (+5,4% sul 2012), e il saldo commerciale passivo di 1.015 milioni di euro per la prima volta dall’inizio della crisi è risultato in calo (–13,9% rispetto ai 1.179 milioni del 2012).
Parmigiano e carni lavorate (insaccati) che sono i più imitati, sono anche quelli con i numeri più alti nell’export dopo l’ortofrutta: l’Emilia Romagna nel 2013 ha esportato 608 milioni di carni preparate e 604 milioni di prodotti lattiero caseari in cui fanno la parte da leone i formaggi (Parmigiano, Provolone, Grana Padano). L’andamento sui mercati internazionali potrebbe ulteriormente migliorare con una più efficace tutela nei confronti della agropirateria internazionale, che utilizza impropriamente parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che si richiamano all’Italia. Si tratta di un inganno favorito dalla mancanza di trasparenza in etichetta sull’origine dei prodotti.

“Bisogna combattere un inganno globale per i consumatori che causa danni economici e di immagine alla produzione italiana sul piano internazionale cercando un accordo sul commercio internazionale nel Wto per la tutela delle denominazioni dai falsi” ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “è anche necessario fare chiarezza a livello nazionale ed europeo dove occorre estendere a tutti i prodotti l'obbligo di indicare in etichetta l'origine dei prodotti alimentari”.

Un fenomeno che si alimenta infatti - ha denunciato il presidente della Coldiretti - dalle troppe ambiguità che caratterizzano spesso il Made in Italy all’estero come ha dimostrato la recente vicenda delle vignette sul New York Times che raccontava Il suicidio dell’extravergine italiano provocato della commercializzazione di olio tunisino e spagnolo spacciato come nazionale.

Il marketing per garantire una crescita sostenibile deve prima di tutto saper raccontare la verità sul Made in Italy e sostenere i valori dell’ autenticità e del legame con il territorio che - ha continuato Moncalvo - sono asset inimitabili e esclusivi. C’è un problema di profilo, di identità di autenticità del Made in Italy che nell’agroalimentare significa in primo luogo rispetto totale dell’origine, materia prima italiana.
Su questo non vi possono essere dubbi se si vuole garantire un futuro produttivo al Paese. C’è una metafora molto semplice che è sotto gli occhi di tutti e che investe una dimensione che non a torto si riallaccia al nostro Made in italy: il giuoco del calcio.  La progressiva rinuncia ai vivai, il fatto che il 55% dei giocatori che scendono in campo è fatto di stranieri, ha indebolito la base produttiva e riproduttiva di un fenomeno che ci ha visto fra i primissimi al mondo.  Non è diverso - ha concluso Moncalvo - con le materie prime nei prodotti agroalimentari o nella stessa moda: quando la quota va oltre una certa soglia intacca le basi produttive del paese le debilita, che si tratti di calcio, di produzione di maiali o di tessile”.