28 Gennaio 2019

Psr: si chiudono le porte per 23mila aziende giovani

Mentre importanti risorse nazionali sono state stanziate con il reddito di cittadinanza per accompagnare le nuove generazioni al lavoro, viene spento il sogno di diventare agricoltori di 23mila giovani che si sono visti respingere dalle Regioni il progetto di insediamento nelle campagne previsto dai piani di sviluppo rurale (Psr) finanziati dall’Unione Europea.

Lo storico ritorno alla terra ha portato 35mila giovani under 40 a presentare domanda per l’insediamento in agricoltura, ma ben 2 richieste su 3 (66%) non sono state accolte per colpa degli errori di programmazione della Amministrazioni Regionali che ha portato a una insufficiente assegnazione di risorse per i giovani nei Piani di sviluppo rurale (Psr), con peraltro il rischio concreto di restituzione dei fondi disponibili a Bruxelles. Dallo stato di attuazione dei Psr aggiornato al 1° gennaio 2019 emerge infatti che l’utilizzo delle risorse comunitarie relativo al periodo 2014-2020 è stato pari ad appena il 29% del totale, un ritardo evidente che rischia di togliere all’Italia stanziamenti importanti per la crescita.

Una conferma viene dalla grave denuncia della Corte dei Conti sull’insufficiente utilizzo dei fondi europei per il sostegno al ricambio generazionale in agricoltura. Secondo la Corte al 31 marzo 2018 le risorse risultavano utilizzate in modo molto eterogeneo dalle diverse regioni, con oltre il 30% da parte del Veneto, delle province di Trento e Bolzano e del Molise al 3% della Puglia fino al meno del 2% da parte di Liguria, Lazio, Campania e Sardegna.

Una sconfitta per le speranze di tanti giovani, ma anche per il Paese che perde opportunità strategiche per lo sviluppo in un settore chiave per la ripresa economica, l’occupazione e la sostenibilità ambientale. Ad aggravare la situazione è il fatto che il maggior numero delle domande presentate e non accolte si concentra nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia, dalla Sicilia alla Calabria, dalla Basilicata alla Sardegna, dalla Campania alla Puglia dove maggiore è il bisogno occupazionale e più elevati sono i tassi di fuga dei giovani all’estero. Secondo un'indagine Coldiretti/Ixè le aziende agricole condotte dai giovani possiedono una superficie superiore di oltre il 54 per cento alla media, un fatturato più elevato del 75 per cento della media e il 50 per cento di occupati per azienda in più.

L’Italia, con 56mila imprese agricole italiane condotte da under 35, è al vertice in Europa per numero di giovani in agricoltura. Una presenza che ha di fatto rivoluzionato il lavoro in campagna dove il 70% delle imprese giovani opera in attività multifunzionali che vanno dalla trasformazione aziendale dei prodotti alla vendita diretta, dalle fattorie didattiche agli agriasilo, ma anche alle attività ricreative, l’agricoltura sociale per l’inserimento di disabili, detenuti e tossicodipendenti, la sistemazione di parchi, giardini, strade, l’agribenessere e la cura del paesaggio o la produzione di energie rinnovabili.

Un’opportunità resa possibile dalla legge di orientamento per l’agricoltura (la legge 228/2001), fortemente sostenuta da Coldiretti che ha rivoluzionato il lavoro nelle campagne allargando i confini dell’imprenditorialità agricola e aprendo a nuove opportunità occupazionali. Non è un caso se questo profondo mutamento culturale si sia tradotto anche nelle scelte relative al percorso scolastico.

Negli ultimi sette anni, gli studenti italiani hanno preso d’assalto la facoltà di Agraria che fa registrare un aumento del 14,5% delle iscrizioni, in netta controtendenza, nello stesso periodo, al calo generale del 6,8% degli universitari che sono scesi costantemente negli anni fino ad arrivare ad appena 1,67 milioni nel 2017/18, secondo un’analisi della Coldiretti sulla base dei dati dell’Anvur, l’Istituto nazionale deputato alla valutazione della ricerca scientifica e dell’università italiana.

L’agricoltura è tornata ad essere un settore strategico per la ripresa economica ed occupazionale e lo hanno capito per primi i giovani che stanno tornando prepotentemente nelle campagne”, ha affermato il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “le Istituzioni devono saper cogliere questo cambiamento epocale che non accadeva dalla rivoluzione industriale anche ripensando la scala delle priorità negli interventi di politica economica”.