27 Agosto 2015

Made in Italy: 40% olio extravergine italiano è di qualità

L’olio extravergine di oliva Made in Italy di qualità è poco meno del 40% del totale (39,2%), per un valore di circa 1,8 miliardi di euro. Di qualità, secondo la definizione di Symbola e Crea (Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’economia agraria) non significa solo qualità organolettica, ma soprattutto frutto di una filiera che, in tutti i suoi passaggi - dalla terra, alla molitura, fino alla distribuzione - riserva le giuste attenzioni verso l’ambiente, il capitale umano, la gestione delle risorse e dei rifiuti, che riduce i fitofarmaci, adotta certificazioni, rispetta i parametri di qualità salutistica. Lo dice il primo PIQ, il Prodotto Interno Qualità sulla filiera oleicola, realizzato da Fondazione Symbola e Crea in collaborazione con Coldiretti e Unaprol per misurare la qualità della filiera, con un insieme di 102 indicatori che rappresentano il più completo set informativo sulle diverse fasi produttive dell’olio.

Attualmente si osserva una polarizzazione del mercato: da una parte troviamo le imprese che scelgono la qualità e fanno crescere il valore del loro prodotto, dall’altra ci sono quelle che, in difficoltà, tagliano sulla qualità puntando alla quantità. È così che si giunge ad un ampliamento della forbice tra la produzione di qualità, ferma appunto al 39,2%, e una di basso livello, pari addirittura al 60,5% di quella nazionale. Sebbene il nostro Paese copra infatti da solo ben il 20% della produzione comunitaria, laddove l’Unione Europea detiene il primato mondiale, nel 2014 si è registrato un allarmante aumento del 38% di olio di importazione, contestuale al calo di oltre il 35% dei raccolti nazionali. Le difficoltà nel settore sono oggi rivelate anche dai sequestri di oli e grassi da parte dei Carabinieri dei NAS, aumentati dal 2007 al 2014 del 483%, raggiungendo solo lo scorso anno il valore di 7,5 milioni di euro.

L’obiettivo che ci si pone è invece quello di stimolare il paradigma dell’economia della qualità, secondo cui a minor quantità corrisponde un maggior valore dei prodotti: questo è accaduto ai produttori di vino che, travolti nello scandalo del metanolo, hanno cambiato rotta, passando dalla quantità a basso prezzo alla qualità del legame con il territorio, con vitigni pregiati e recupero di una tradizione antica come quella di greci, etruschi, cartaginesi e romani. Tanto che oggi produciamo il 50% di vino in meno, ma il suo valore è cresciuto di 6/7 volte e nel 2014 abbiamo esportato vino per circa 5 miliardi di euro. La definizione del PIQ Olio rappresenta dunque il primo database attraverso cui valutare gli oli in commercio: uno strumento di trasparenza e informazione per le istituzioni deputate al controllo di produzione e prodotto, un vademecum per le imprese del settore, ma anche un sussidiario fondamentale per i consumatori, che si rilevano poco informati.

Come dimostrano i dati rilevati da Voice from the Blogs per PIQ Olio sulle conversazioni via internet a livello globale, analizzando quasi 2 milioni di post tra quelli in inglese e quelli in italiano nel 2013, nei confronti dell’olio prevale un atteggiamento positivo (80% dei post in inglese, 94% in quelli in italiano). Dietro questo approccio c’è però una scarsissima consapevolezza e informazione. Dai post italiani risulta, ad esempio, che il 12,8% degli utenti rivela l’abitudine a impiegare un olio qualsiasi. A confermare la scarsa informazione, è l’uso fatto in cucina: risulta bassissimo (3,7%) l’accostamento tra extravergine e frittura, quando invece proprio l’extravergine è ideale allo scopo. Anche l’analisi del blocco a sentiment negativo rivela una scarsa conoscenza dell’olio: in più del 30% dei casi la percezione negativa è giustificata sostenendo che l’extravergine di oliva non è sano e fa ingrassare.