11 Dicembre 2018

Il Ceta affossa il valore dell’agroalimentare made in Italy

Il Ceta, l’accordo commerciale tra Ue e Canada, affossa la crescita delle esportazioni agroalimentari nel paese dell’acero e abbassa i prezzi dei prodotti italiani, nonostante alcuni autorevoli esponenti europei continuano a dire il contrario. Lo dimostra Agribynumbers, il nuovo progetto di analisi e interpretazione delle informazioni interne al sistema e dei dati prodotti da fonti statistiche ufficiali e indagini dirette.

Emblematico il caso di Parmigiano Reggiano e Grana Padano, due dei prodotti Made in Italy di punta che il trattato avrebbe dovuto in teoria tutelare e promuovere. Il Ceta, evidenzia l’analisi, ha portato a una riduzione della crescita delle quantità esportate che procede a ritmi decisamente inferiori rispetto al passato recente. Infatti nei due anni precedenti, misurando le variazioni trimestrali, si nota come la crescita registrata delle esportazioni nel periodo di applicazione del Ceta (ottobre 2017 – settembre 2018) sia inferiore ai due analoghi periodi precedenti (ottobre 2016 - settembre 2017 e ottobre 2015 - settembre 2016).

L’incremento nel periodo del Ceta era stato, infatti, di poco superiore al 5%, rispetto ad un aumento di circa il 7% nel periodo ottobre 2016 - settembre 2017 e di circa il 14,5% nel periodo ottobre 2015 - settembre 2016. Se andiamo oltre il dato dei volumi esportati che da solo vale poco, ci rendiamo conto che le esportazioni di Grana e Parmigiano verso il Canada sono cresciute addirittura meno rispetto al resto delle aree extra Ue che, nel complesso hanno fatto registrare nei primi otto mesi del 2018 una crescita di oltre il 6% delle quantità esportate. Gli scambi con gli Stati Uniti, con i quali non abbiamo siglato nessun nuovo accordo commerciale, hanno fatto registrare ad esempio un incremento delle nostre esportazioni di Grana e Parmigiano di quasi l’8% nell’ultimo anno.

Andando ulteriormente in profondità si può poi notare come l’applicazione del trattato con il Canada abbia avuto l’effetto di deprimere i prezzi dei prodotti maggiormente esportati e inclusi nell’accordo, favorendo apparentemente soprattutto le produzioni a minor valore aggiunto.

Anche qui è sintomatico il caso di Parmigiano e Grana. L’operatività del trattato è, infatti, coincisa con un blocco del processo di valorizzazione dei prodotti in questione che aveva invece caratterizzato gli scambi con il Canada negli anni precedenti.

Il valore delle esportazioni cresce meno dei volumi, mentre nei due anni precedenti era accaduto il contrario. In questa prima fase di applicazione del Ceta il valore delle esportazioni è cresciuto (media delle variazioni trimestrali) del 4,8%, rispetto ad una crescita delle quantità del 5,3%. Nell’anno precedente (ottobre 2016 -settembre 2017) la crescita media dei valori all’export era stata pari al 20% a fronte di un aumento delle quantità esportate pari al 6,9%.

Nel periodo ancora precedente i valori sono cresciuti di oltre il 18% e i volumi di circa il 14,5%.
Quindi, non solo la crescita registrata dalle quantità esportate non può essere considerata a prima vista del tutto incoraggiante rispetto a quelle che sono state le dinamiche dei due anni che hanno preceduto l’applicazione, ancora provvisoria, del Ceta, ma a questo si aggiunge l’ombra della perdita di valore dei prodotti esportati, che evidentemente ha privilegiato i profili di base dell’ampia stratificazione qualitativa del Grana e del Parmigiano e il versante più industriale delle filiere di queste due eccellenze del made in Italy agroalimentare.

Questa impressione in questo brevissimo scorcio di operatività del Ceta potrebbe essere rafforzata anche dal dato relativo ai rapporti di cambio valutario Canada-Europa, che evidenzia come anche nei momenti di debolezza dell’euro le esportazioni non siano cresciute particolarmente.