30 Aprile 2015

Agromafie: con pizzo su vino, business da 15,4 miliardi

Il business delle agromafie ha raggiunto i 15,4 miliardi di euro nel 2014, attraverso furti di attrezzature e mezzi agricoli, racket, abigeato, estorsioni, o con il cosiddetto pizzo, anche sotto forma di imposizione di manodopera o di servizi di trasporto o di guardiania alle aziende agricole. È quanto affermato nel commentare positivamente il blitz dei carabinieri del comando provinciale di Catania, culminata nell'esecuzione di 15 ordini di custodia cautelare per attività illegali, come l’imposizione del pizzo per servizi di guardiania ad alcune delle principali aziende vitivinicole attive tra Randazzo e Castiglione di Sicilia, nel Catanese, sotto la minaccia di tagliare i filari delle viti in caso di mancato pagamento.
Proprio per contrastare questi fenomeni, Coldiretti ha promosso la Fondazione Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, con il procuratore Gian Carlo Caselli alla guida il Comitato Scientifico della Fondazione.

La criminalità controlla in molti territori la distribuzione, e talvolta anche la produzione, del latte, della carne, della mozzarella, dello zucchero, del vino, della farina, del pane clandestino, del burro e della frutta e della verdura. Con i classici strumenti dell’estorsione e dell’intimidazione impongono la vendita di determinate marche e determinati prodotti agli esercizi commerciali che, a volte, approfittando della crisi economica, arrivano a rilevare direttamente. Non solo si appropriano di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio Made in Italy.

La criminalità organizzata che opera nelle campagne incide più a fondo nei beni e nella libertà delle persone perché, a differenza della criminalità urbana, può contare su un tessuto sociale e su condizioni di isolamento degli operatori e di mancanza di presidi di polizia immediatamente raggiungibili e attivabili. Si tratta dunque di lavorare per il superamento della situazione di solitudine, invertendo la tendenza allo smantellamento dei presidi e delle forze di sicurezza presenti sul territorio, ma anche incentivando il ruolo delle associazioni di rappresentanza attraverso il confronto e la concertazione con la pubblica amministrazione, perché la mancanza di dialogo costituisce un indubbio fattore critico nell'azione di repressione della criminalità.