30 Settembre 2016

Agricoltura, olio d’oliva da record: le esportazioni aumentano del +12%

La nostra agricoltura può “vantarsi” di avere un olio d’oliva da primato, basti pensare che in una sola generazione, sono praticamente raddoppiati i consumi mondiali di olio di oliva Made in Italy, con un balzo del 73% negli ultimi 25 anni che ha cambiato la dieta dei cittadini in molti Paesi, dal Giappone al Brasile, dalla Russia agli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna alla Germania.
E’ quanto emerge dallo studio Coldiretti presentato alla Giornata nazionale dell’extravergine italiano dove sono intervenuti diecimila agricoltori per difendere il prodotto più rappresentativo della nostra agricoltura e della dieta mediterranea, dalla concorrenza sleale, speculazioni, mancanza di trasparenza in etichetta, truffe ed inganni, alla presenza del Premier Matteo Renzi insieme al Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina.

Si tratta di una tendenza positiva che ha avvantaggiato anche l’Italia con un aumento record delle esportazioni di olio di olive Made in Italy del 12% nel primo semestre del 2016 e valori che vanno dall’aumento del 32% in Cina, dove però le quantità sono ancora ridotte, al +6% del Giappone fino al +9% negli Usa, dove è diretto quasi 1/3 dell’olio di oliva che varca le frontiere nazionali. Nel mondo sono stati consumati complessivamente 2,99 miliardi di chili di olio di oliva nel 2015, con la vetta della classifica conquistata dall’Italia con 581 milioni di chili, seguita dalla Spagna con 490 milioni di chili, ma sul podio salgono a sorpresa anche gli Stati Uniti con un consumo di ben 308 milioni di chili e un aumento record del 250% nell’arco di 25 anni. La crescita dei consumi è avvenuta in modo vorticoso nell’ambito di una generazione anche in altri importanti Paesi a partire dal Giappone dove l’incremento è stato addirittura del 1400%, per un consumo di 60 milioni di chili nel 2015, in Gran Bretagna con una crescita del 763% a 59 milioni di chili e in Germania che, con un incremento del 465%, raggiunge i 58 milioni di chili.

Una rivoluzione nella dieta si è verificata anche in Paesi come il Brasile, in cui l’aumento è stato del 393% per un totale di 66,5 milioni di chili; la Russia in cui l’aumento è stato del 320% anche se le quantità restano limitate a 21 milioni di chili; la Francia che, con un incremento del 268% ha superato i 103 milioni di chili. La situazione è invece profondamente diversa nei Paesi tradizionalmente produttori come l’Italia, dove nel corso dei 25 anni i consumi sono rimasti pressoché stabili (+8%), la Spagna dove c’è stato un debole aumento del 24% mentre in Grecia si è verificato addirittura un calo del 27%. A sostenere la domanda mondiale, sono certamente gli effetti positivi sulla salute associati al consumo di olio di oliva, provati da numerosi studi scientifici che hanno fatto impennare le richieste di quel crescente segmento di popolazione che nel mondo è attento alla qualità della propria alimentazione. Tra i fattori di criticità c’è però la forte richiesta a livello internazionale di trasparenza sulla reale origine dell’olio contenuto nelle bottiglie vendute come italiane.

“La credibilità è il fattore di successo sui mercati internazionali dove si affacciano nuovi ed agguerriti concorrenti, che vanno affrontati anche con un rinnovato impegno sul piano della sostenibilità ambientale, sociale ed economica”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “il 99% dei consumatori stranieri ritiene una frode la vendita di un olio extravergine d’oliva come italiano se fatto con olive provenienti da altri Paesi, secondo l’indagine Unaprol/Ixe’ effettuata in occasione dell’Expo”.

“La qualità dell’olio d’oliva italiano è legata alla sicurezza alimentare - ha dichiarato Maria Letizia Gardoni, Delegata Nazionale dei Giovani Agricoltori di Coldiretti. Togliere la data di scadenza, ad un prodotto simbolo della nostra agricoltura nel mondo, vuol dire togliere quella garanzia di sicurezza che va a beneficio della salute del consumatore finale, che deve avere la possibilità, attraverso un’etichettatura più chiara e trasparente, di sapere cosa porta a tavola”.