10 Settembre 2015

Agricoltura italiana a rischio, chiuse 60 stalle e fattorie al giorno

L’agricoltura italiana rischia di scomparire tra 33 anni: è quanto emerge dal dossier presentato dalla Coldiretti in occasione della mobilitazione degli agricoltori al valico del Brennero. Dall’inizio della crisi, sono state chiuse in Italia oltre 172000 stalle e fattorie a un ritmo di oltre 60 al giorno.
Occorre fermare chi fa affari sulle spalle degli agricoltori e dei consumatori, con le speculazioni sui prodotti favorite dalla mancanza di trasparenza sulla reale origine e sulle caratteristiche degli alimenti, che stanno provocando l’abbandono delle campagne, sulla base dei dati Unioncamere relativi ai primi 6 mesi del 2015, rispetto all’inizio della crisi nel 2007.

Sono oggi meno di 750mila le aziende agricole sopravvissute in Italia, ma se l’abbandono continuerà a questo ritmo, in 33 anni non ci sarà più agricoltura lungo la Penisola, con effetti drammatici su economia, sicurezza alimentare, presidio ambientale. La chiusura di un’azienda significa maggiori rischi sulla qualità degli alimenti che si portano a tavola e minor presidio del territorio, lasciato all’incuria e alla cementificazione. Si avrebbero conseguenze negative anche sull’immagine del Made in Italy nel mondo, favorito da un doppio furto: quello di identità a danno dell’eccellenze italiane e quello di valore aggiunto, che vede sottopagati i prodotti agricoli nazionali senza alcun beneficio per i consumatori. “Rischiamo di perdere un patrimonio del nostro Paese sul quale costruire una ripresa economica sostenibile e duratura, che faccia bene all’economia all’ambiente e alla salute” afferma il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo, nel denunciare che “l’invasione di materie prime estere spinge prima alla svendita agli stranieri dei nostri marchi più prestigiosi e poi alla delocalizzazione delle attività produttive”.

A causa della concorrenza sleale, che fa chiudere le aziende agricole, oggi l’Italia è costretta a importare:

  • il 40% del latte e carne,
  • il 50% del grano tenero destinato al pane,
  • il 40% del grano duro destinato alla pasta,
  • il 20% del mais
  • l’80% della soia.

Ma l’invasione riguarda anche prodotti dove l’Italia è praticamente autosufficiente, dall’olio di oliva - con l’Italia che si classifica come il principale importatore mondiale per realizzare miscele di bassa qualità da spacciare come Made in Italy - fino all’ortofrutta. Il frutteto italiano che si è ridotto di 1/3 (-33%) negli ultimi 15 anni, con la scomparsa di oltre 140mila ettari di piante di mele, pere, pesche, arance, albicocche e altri frutti. Senza dimenticare il settore delle carni, a partire da quelle bovine, spesso preda di traffici illeciti con l’importazione di animali privi dei necessari documenti e marchi auricolari, soprattutto dall’Est europeo. L’Italia rischia così di perdere il primato europeo nella produzione di una delle componenti base della dieta mediterranea, a causa del crollo dei compensi pagati agli agricoltori, che non riescono più a coprire neanche i costi di produzione, mentre al dettaglio i prezzi aumentano.